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“Black friday”, un nuovo rito di cui non si sentiva il bisogno

Si è "celebrato" anche da noi, con sconti, offerte ma anche con scioperi in alcune grandi catene, il venerdì che, in America, segna l'avvio della stagione dello shopping natalizio e che sembra soprattutto la festa del consumismo sfrenato.

“Black friday”, un nuovo rito di cui non si sentiva il bisogno 26 Novembre 2017Lascia un commento

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

Si direbbe che, ad oggi, quasi tutti i riti e le tradizioni della cultura americana o anglosassone finiscano per essere “importati” anche in Europa e in Italia, e così, dopo la festa di Halloween, che fino a una ventina di anni fa era totalmente sconosciuta nel nostro paese, quest’anno si è “celebrato” pure qui, venerdì scorso, il “black friday”, ossia il venerdì che, negli Stati Uniti, viene immediatamente dopo il giorno del Ringraziamento e segna, in genere, l’inizio della stagione dello “shopping” natalizio, incentivato dagli ingenti sconti e promozioni che molte catene, per quel giorno, offrono. Anche da noi, dunque, la stragrande maggioranza dei negozi esibiva cartelli che promettevano sconti per tale ricorrenza, ma è venuto allo scoperto anche il rovescio della medaglia, ossia lo sfruttamento a cui molti lavoratori di grandi catene sono sottoposti, come ad esempio quelli di Amazon, che proprio per la giornata di venerdì, in cui sarebbero fioccate le ordinazioni, avevano indetto uno sciopero, a cui, secondo i sindacati, hanno aderito, nel magazzino di Castel San Giovanni, nel piacentino, più del 50% dei dipendenti a tempo indeterminato, ma quasi nessuno dei circa duemila lavoratori con contratto interinale, che, in tal caso, rischierebbero di non essere più richiamati. L’azienda, invece, ha parlato di un’adesione allo sciopero di circa il 10% del totale dei lavoratori.

Gli addetti ai magazzini della grande multinazionale, che registra un fatturato di 136 miliardi, dei quali 21 in Europa, dove, come altri colossi del web, ha potuto beneficiare di un trattamento fiscale di favore, lamentano turni di lavoro massacranti, di otto ore sempre in piedi, con una pausa di mezz’ora che diventa di venti minuti per il tempo impiegato a raggiungere le poltroncine dell’area relax. La sorte peggiore, chiaramente, spetta ai precari “prestati” ad Amazon dalle varie agenzie interinali, che lavorano quando serve all’azienda, con turni che cambiano unicamente in funzione delle esigenze di questa. Si direbbe, quindi, che per questi lavoratori non vi sia proprio nulla da festeggiare, ma forse vi è poco da festeggiare in generale, visto che Amazon non è di certo l’unica azienda a sacrificare, in parte, le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti in nome del profitto, un profitto che, sempre più spesso, come vuole il mercato e il capitalismo “selvaggio”, è per poche, pochissime persone, mentre ai più non rimangono che le briciole, o al massimo, forse, la soddisfazione di riuscire ad acquistare, quel giorno, quel determinato prodotto, magari l’ultimo ritrovato tecnologico, ad un prezzo super-scontato.

E, se non ci si riesce in occasione del “black friday”, si può sempre fare affidamento, per quel che riguarda i prodotti di elettronica, sul “cyber monday“, il lunedì successivo, in cui vengono offerti grandi sconti riguardanti proprio tali generi di consumo, perché la religione del consumismo ha anch’essa sempre più bisogno dei suoi riti da officiare e in cui venerare il dio denaro. Occorrerebbe invece fermarsi un attimo a riflettere su ciò che ci stanno facendo diventare, ossia degli iper-consumatori sempre più disposti a lavorare anche tanto e senza diritti pur di guadagnare l’indispensabile per sopravvivere, anzi, per sopravvivere e permettersi come unico “sfizio” l’acquisto di qualcosa in più, che magari neanche ci serviva, ma compriamo perché irresistibilmente attratti dalla pubblicità e dalle offerte. Sarebbe anche necessario rendersi conto che “non è tutto oro quel che luccica”, e così, dietro alle mirabolanti offerte di questa o quella catena, si possono nascondere, appunto, pessime condizioni di lavoro per i dipendenti della stessa a fronte di profitti iperbolici unicamente per i suoi super-manager, oppure forme di elusione fiscale di cui, alla fine, si avvantaggiano solo questi ultimi, o, in taluni casi (per fortuna abbastanza rari), persino lo sfruttamento del lavoro minorile nei paesi più poveri, o lo sfruttamento dell’ambiente negli stessi.

A volte, persino noi consumatori potremmo, simbolicamente, “scioperare”, cioè rifiutarci di acquistare quasi forzatamente beni non indispensabili, soprattutto da quelle aziende (anche se, alla fine, sono tante) che non rispettano determinati criteri “etici”: in Inghilterra, ad esempio, alcuni attivisti hanno lanciato il boicottaggio di Amazon. Nel frattempo, magari, riusciremmo a capire che la nostra esistenza e la nostra felicità non dipendono (o non dovrebbero dipendere) dalla ricerca forsennata di beni materiali spesso superflui, ma da beni e valori “immateriali“, che riusciremmo a coltivare meglio se riuscissimo a dedicare maggior tempo a noi stessi e ai nostri cari, invece di rimanere continuamente invischiati nei ritmi e nei riti di produzione e consumo. Anche il Natale, che si festeggia tra un mese, dovrebbe essere una festa religiosa, o in cui comunque anche i non credenti possono ritrovarvi dei valori più “spirituali”, mentre ridurre tale festa ad una grande orgia consumistica di acquisti, che si inizia a celebrare più di un mese prima, con il “black friday”, appunto, significherebbe tradirne il senso originario.

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

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