Approfondimenti

Come si risolverà il “rebus” della formazione del governo?

Dalle urne non è scaturita nessuna maggioranza, e, a parte qualche timida apertura, i leader dei principali partiti sembrano poco disponibili ad allearsi con gli altri: si spera comunque che il nuovo esecutivo sappia affrontare le priorità del Paese.

Come si risolverà il “rebus” della formazione del governo? 13 Marzo 2018Lascia un commento

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

Com’era in parte prevedibile, dal voto del 4 marzo non è emersa nessuna maggioranza in grado di dar vita ad un governo, anche se esso ha visto una netta affermazione del Movimento 5 Stelle, che ha ottenuto il 32,7 per cento dei consensi, e della Lega, che, con il suo 17,4 per cento dei voti, è diventato il primo partito della coalizione di centrodestra (che in totale ha incassato il 37 per cento). Netta, invece, la sconfitta del Pd, fermatosi al 18,7 per cento dei consensi, e il cui segretario Matteo Renzi si è quindi dimesso dalla guida del partito. Spetterà ora al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il difficile compito di risolvere l’intricato rebus riguardante la formazione del nuovo governo, con le consultazioni delle varie forze politiche, al termine delle quali egli conferirà l’incarico, pieno o esplorativo, al potenziale presidente del Consiglio in grado di ottenere una maggioranza parlamentare che lo sostenga. Non è neanche del tutto da escludere che si vada verso un governo tecnico, che comunque dovrebbe guadagnarsi la fiducia del Parlamento. Ora, dunque, i principali partiti hanno iniziato a “scrutarsi”, soprattutto i leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio e quello della Lega Matteo Salvini, che, all’inizio, avevano fatto anche alcune aperture al dialogo, come chiesto dal capo dello Stato, che si era appellato al “senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese“, ma, poi, queste sono in buona parte sfumate.

Il leader leghista, inizialmente, aveva aperto persino al Pd, affermando: “Spero siano a disposizione per dare una via d’uscita al paese”. Anche Di Maio, qualche giorno fa, si era detto disposto a formare un governo con le forze politiche con cui si sarebbero trovate delle “convergenze sui temi”, che, per il Movimento, consistono principalmente nella lotta alla povertà e alla disoccupazione, nella riduzione delle tasse per le imprese, nell’eliminazione degli sprechi e in una maggiore sicurezza nelle città. Salvini e Di Maio, però, hanno poi compiuto una sostanziale retromarcia, ognuno rivendicando a sè la guida dell’esecutivo in caso di accordi con altri partiti. Salvini, in particolare, non sarebbe disposto ad allearsi con forze esterne al campo del centrodestra, e vorrebbe guidare un governo “di minoranza”, in cui gli altri partiti convergerebbero poi sulle singole misure. Lunedì, però, nella prima direzione del Pd dopo le dimissioni di Renzi, il vicesegretario Maurizio Martina ha chiarito che il partito ora, sarà “all’opposizione”, e si è rivolto alla Lega e al M5S affermando: “I cittadini vi hanno votato per governare, ora fatelo. Cari Di Maio e Salvini prendetevi le vostre responsabilità“.

Sembra quindi sfumare anche l’ipotesi di un governo Pd-M5S, dato che fra i due partiti non è mai corso buon sangue, soprattutto per gli attacchi spesso veementi lanciati da Grillo nei confronti degli esponenti democratici. In fin dei conti, però, le differenze tra tali partiti sono meno profonde di quanto i rispettivi membri vogliano far credere, se si considera anche che il Movimento 5 Stelle avrebbe intercettato i voti dei “delusi” di altri partiti, pescando forse più”a sinistra”, visto il crollo delle forze di quest’area. Chiudendo le porte ad un accordo con il Movimento 5 Stelle, invece, il Pd sembra mostrarsi indifferente al profondo malcontento che serpeggia nell’elettorato e alla richiesta di cambiamento emersa dalle urne, e rischia di avallare un‘alleanza tra il Movimento e la Lega, che, pur essendo diventato il terzo partito del Paese, rimane una forza profondamente di destra, che ha incentrato una buona parte della sua campagna elettorale sulla lotta all’immigrazione clandestina, rasentando però non poche volte la xenofobia.

Tra Pd e grillini, invece, si potrebbe giungere ad un’intesa su alcuni punti programmatici, quali potrebbero essere il reddito di cittadinanza e misure contro povertà e disoccupazione, che sono tematiche su cui anche un elettore “dem” potrebbe essere più sensibile, e sono sempre più importanti e sentite, come dimostra lo stesso risultato delle elezioni, che si può interpretare come un voto “di protesta” contro i partiti che hanno governato finora. Proprio ieri, infatti, sono stati diffusi i risultati di un‘indagine di Bankitalia che indicano come, nonostante nel 2016 il reddito medio equivalente sia tornato ad aumentare, è però aumentata la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e la quota di persone a rischio povertà. Sono queste, quindi, le priorità che dovrebbe affrontare il nuovo governo, a prescindere dalla sua composizione partitica, e si spera che prevalga, come chiesto dal presidente della Repubblica, “l‘interesse del Paese” su logiche esclusivamente di parte, che rischierebbero di far slittare la formazione del nuovo esecutivo e di far perdere di vista tali priorità.

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *